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- Approvato donanemab in Europa: rallenta declino cognitivo per 18 mesi.
- Nanoparticelle riducono placche cerebrali del 50% in 1 ora nei topi.
- Dopo 6 mesi, topi di 18 mesi recuperano funzioni cognitive.
Una svolta nella lotta all’Alzheimer: l’Europa approva un nuovo farmaco
È stata concessa dalla Commissione Europea l’autorizzazione all’immissione sul mercato di un medicinale destinato a rallentare il declino cognitivo e funzionale nei soggetti affetti da Alzheimer. Questa scelta deliberativa, datata 20 ottobre 2025, segna un passo potenzialmente decisivo nella gestione terapeutica della patologia neurodegenerativa che interessa milioni di persone globalmente. L’Alzheimer si configura come una malattia cronica e progressiva ed è riconosciuta come la forma più comune di demenza tra gli anziani nelle nazioni occidentali; i primi segnali possono comparire anche intorno ai cinquant’anni, benché siano registrati alcuni casi con diagnosi precoce della malattia stessa. Il processo patologico comporta la distruzione delle cellule cerebrali accompagnata da danni irreversibili alle funzioni cognitive.
Le ricerche suggeriscono che la genesi dell’Alzheimer potrebbe essere correlata all’anomalia in una specifica proteina – i cui meccanismi d’alterazione rimangono parzialmente oscuri – incapace di essere metabolizzata nel modo adeguato dal corpo umano. Questo squilibrio dà origine alla produzione della beta amiloide, una sostanza neurotossica responsabile del graduale decesso dei neuroni coinvolti nel sistema nervoso centrale. Recentemente è stato introdotto un innovativo farmaco chiamato donanemab, un anticorpo monoclonale frutto dei progressi del gruppo Eli Lilly. Questa terapia si propone di affrontare in modo diretto le preoccupanti *placche amiloidi, contribuendo a ridurre la loro presenza e a rallentare la gravità della patologia. Le ricerche condotte finora evidenziano come il donanemab debba la sua efficacia nel ritardare il deterioramento delle capacità cognitive e funzionali degli individui affetti da questa malattia neurodegenerativa; ciò avviene attraverso una significativa diminuzione del rischio di avanzamento della patologia entro un periodo di 18 mesi. È fondamentale sottolineare che questo farmaco trova indicazione per pazienti adulti nei primi stadi dell’Alzheimer—caratterizzati da un lieve decadimento cognitivo oppure da una demenza ancora leggera—presentando diagnosi certa relativa alla presenza della proteina amiloide ed essendo nella condizione genetica eterozigote senza possesso dell’apolipoproteina E.
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- 🤔 Ma siamo sicuri che questo nuovo farmaco sia accessibile... ...
- 🧠 Invece di curare i neuroni danneggiati, perché non potenziare... ...
Riparare la barriera ematoencefalica: una nuova strategia per invertire l’Alzheimer
In concomitanza con <a class="crl" target="_blank" rel="nofollow" href="https://www.aifa.gov.it/-/alzheimer-ricerca-prospettive-e-strategie-di-cura”>l’introduzione del nuovo farmaco sul mercato, è stata pubblicata una ricerca d’avanguardia su Signal Transduction and Targeted Therapy, la quale propone una strategia differente per affrontare l’Alzheimer. Piuttosto che focalizzarsi sull’eradicazione delle placche nocive direttamente nel cervello, i ricercatori suggeriscono il rafforzamento dell’apparato deputato a eliminarle: ovvero la barriera ematoencefalica. Questa struttura cellulare non solo delimita il confine fra cervello e sangue tutelando quest’ultimo dalle tossine e dai microrganismi patogeni; funge anche da ostacolo per numerosi farmaci utili al trattamento patologico. Il gruppo scientifico sotto la guida di Giuseppe Battaglia, appartenente all’Ibec di Barcellona e affiancato da Junyang Chen, attivo presso l’Università del Sichuan, ha scelto così d’intervenire a favore della robustezza sistemica dedicata alla rimozione dei prodotti metabolici indesiderati.
La realtà della barriera ematoencefalica va oltre quella rappresentativa come una mera suddivisione; essa funge infatti da complesso filtrante vitale coinvolto nella depurazione delle proteine inutilizzate inclusa quella beta-amiloide responsabile dell’insorgenza patologica associata ad Alzheimer. Concedendo danni o mostrando segni d’invecchiamento questa barriera può perdere efficacia compromettendo così i meccanismi fisici preposti allo smaltimento naturale dei materiali residui portando infine a conseguenze devastanti quali accumuli tossici e deterioramento neuronale progressivo. Gli studiosi hanno rivelato che una specifica molecola recettoriale, denominata Lrp1, opera come un “mediatore” che agevola il trasferimento dell’amiloide dal tessuto cerebrale al flusso sanguigno. Con l’età o nella malattia, la quantità di Lrp1 si riduce, bloccando il processo di pulizia. Per riattivare questo meccanismo, gli scienziati hanno concepito delle nanoparticelle bioattive capaci di simulare l’azione di Lrp1 e di ripristinare il corretto smaltimento dell’amiloide.

Nanoparticelle “resettano” il sistema vascolare cerebrale
Queste nanoparticelle, iniettate in topi geneticamente predisposti all’Alzheimer, hanno ridotto le placche cerebrali di circa il 50% in un’ora e del 45% complessivo dopo tre dosi. A differenza delle tradizionali terapie che cercano di curare i neuroni danneggiati, queste nanoparticelle agiscono come “interruttori” che resettano il sistema vascolare del cervello, permettendogli di riguadagnare la sua capacità di eliminare le proteine e le altre molecole indesiderate che si accumulano nelle malattie neurodegenerative.
Gli esperti hanno impiegato modelli murini geneticamente ingegnerizzati per produrre una maggiore quantità della proteina beta-amiloide e mostrare un declino cognitivo analogo a quello osservato nell’Alzheimer. Dopo un semestre di trattamento con le nanoparticelle, un esemplare di 18 mesi, corrispondente a circa 90 anni nell’uomo, ha mostrato un recupero completo del comportamento tipico di un animale in salute. Secondo Giuseppe Battaglia, “l’effetto a lungo termine deriva dal ripristino della vascolarizzazione cerebrale”. Il meccanismo d’azione sarebbe a cascata: l’accumulo di specie tossiche come la beta-amiloide fa progredire la malattia, ma una volta che il sistema vascolare è di nuovo in grado di funzionare, inizia a eliminare la beta-amiloide e altre molecole dannose, consentendo all’intero sistema di ritrovare il suo equilibrio.
Alzheimer: un futuro di speranza tra terapie innovative e approcci rigenerativi
Le recenti novità riguardanti l’approvazione del donanemab e gli esiti incoraggianti nella ricerca delle nanoparticelle mettono in luce aspetti complementari nella lotta contro l’Alzheimer: da un lato si evidenzia l’accresciuta comprensione delle intricate dinamiche associate a questa patologia; dall’altro emerge con forza l’urgenza di sviluppare terapie che siano realmente variegate. Mentre il donanemab è progettato per colpire specificamente le placche amiloidi, contribuendo così a frenare l’evoluzione della malattia, le nanotecnologie si propongono come strumenti per recuperare le funzioni vitali del meccanismo cerebrale responsabile dello smaltimento dei rifiuti cellulari; ciò potrebbe condurre a un’inversione degli effetti neurodegenerativi già in atto. Tale sinergia tra diverse metodologie terapeutiche ha il potenziale di inaugurare un’era innovativa nella cura dell’Alzheimer, infondendo nuova speranza nei cuori dei pazienti e dei loro familiari.
Riflettiamo sull’importanza cruciale che rivestono tali sviluppi. L’innovazione farmaceutica non deve essere considerata semplicemente come una questione legata alla chimica o alla biologia; essa abbraccia anche una dimensione economica – un vero business case. Ciò implica necessariamente uno sguardo integrato che sappia abbracciare più discipline ed essenziali esigenze vissute dai pazienti stessi. La sostenibilità del progresso terapeutico, nel campo della farmacia moderna, torna ad evidenziare come il semplice valore bio-farmacologico non possa bastare per definire la riuscita commerciale e sociale. Infatti: occorre considerare fattori quali accessibilità economica, facilità nell’assunzione delle terapie e la loro attitudine a inserirsi organicamente nel quotidiano degli individui colpiti da patologie. In effetti…
Proseguendo oltre le intuizioni basilari sul tema, giunge alla luce l’affermazione secondo cui l’innovazione in farmacologia abbraccia un ambito ben più vasto. A tal proposito, assume importanza centrale lo sviluppo… non soltanto… ma ci si proietta verso approcci diagnostici mai visti prima insieme a modelli assistenziali al passo coi tempiName of academic paper where these findings have been discussed.. Inoltre, è bene sottolineare come tutele sussistano nelle interazioni proficue tra scienziati, clinici, industrie e utenti finali; tale sinergia diventa cruciale per favorire cambiamenti radicali.
Alla luce di tali osservazioni, i post-progressi ci portano inevitabilmente ad affrontare i vincoli strutturali della battaglia contro forme devastanti come quella dell’Alzheimer. Soltanto attraverso un diligente investimento a lungo termine* ed una riflessione continua possiamo sperare in risultati effettivi. Inoltre, esiste un aspetto umano irrinunciabile; quello dedicato alle storie individualizzate… una componente primordiale che reclama la nostra empatia rispettosa accanto ai dati freddi numericamente analizzati!